Editoriale per DOMANI
Il Presidente della Repubblica in Italia dispone di alcuni importanti poteri che investono vari ambiti, tra cui quello di sciogliere “le Camere o anche una sola di esse”. Nell’esercizio di questa funzione interpella i Presidenti delle Camere, sebbene questo passaggio non sia in alcun modo vincolante per il Presidente. In capo al quale risiede l’intera responsabilità, e dunque la pienezza della decisione. In particolare, l’art. 88 della Costituzione prevede che il Capo dello Stato non possa esercitare tale potere nel periodo che segna l’ultimo semestre del suo mandato, a meno che questo periodo non coincida, anche solo in parte, con gli ultimi sei mesi di legislatura. Questa eccezione è stata introdotta con riforma costituzionale nel 1991 per far fronte alla peculiarità della presidenza di Francesco Cossiga la cui durata terminava con la coincidente scadenza della legislatura. Un incastro paradossale poiché il Presidente non avrebbe potuto sciogliere né le Camere avrebbero potuto eleggere il nuovo Capo dello Stato secondo quanto previsto dall’art. 85. Oggi non ci troviamo nella condizione della scadenza sovrapposta tra le due istituzioni – la legislatura scade nel marzo del 2023 -, e ne deriva che alla fine del prossimo mese di luglio inizierà il c.d. “semestre bianco”, durante il quale, appunto, le Camere non potranno essere sciolte anticipatamente.
La logica intrinseca di questa limitazione temporale, presente anche in altri ordinamenti (Portogallo, ad esempio, sebbene in un sistema semi-presidenziale), risiede nella volontà di evitare che il Capo dello Stato pro tempore proceda allo scioglimento a ridosso della fine del proprio mandato con l’intento di dilazionare l’elezione del successore ovvero di esautorare un parlamento che egli considera ostile alla eventuale sua rielezione. Va sottolineato che l’atto di scioglimento, al pari degli atri provvedimenti presidenziali, deve essere controfirmato, in questo caso dal Presidente del Consiglio dei Ministri. E nel caso questi rifiutasse di controfirmare, il Presidente dovrebbe rinunciare allo scioglimento ovvero adire la Corte costituzionale per conflitto di attribuzioni. Scenari articolati, in cui le prerogative non sono mai state chiarite tanto che si parla di atti duumvirali (si veda Carlo Fusaro, Il presidente della Repubblica, Il Mulino).
Alcuni casi storici rendono l’idea di quale sia stato il comportamento del Presidente nel “semestre bianco”. Giovanni Leone si dimise due settimane prima che iniziasse l’ultimo semestre da inquilino del Quirinale a causa delle accuse di illeciti, risultate poi infondate, e dal mancato sostegno dei partiti “costituzionali”.
Il Presidente Ciampi, unico caso “limite”, durante il semestre bianco procedette allo scioglimento anticipato delle Camere (come da nuova norma del 1991), seppure di soli due mesi, ma si trattò di mere ragioni tecniche ché la legislatura era ormai esaurita. Giorgio Napolitano rassegnò le dimissioni durante il “semestre bianco” per eleggere il suo successore, che fu poi egli stesso sebbene per soli due anni. Il caso più eclatante rimane quello di Antonio Segni che nel celebre messaggio alle Camere del 1963 avanzò l’idea di abolire il “semestre bianco”, e di conseguenza la non immediata rieleggibilità del Presidente.
Come giustamente segnala il costituzionalista Stefano Ceccanti, gli scioglimenti (la prima volta fu nel 1972) durante il primo sistema partitico (1948-’93) avvenivano di concentro tra i partiti della maggioranza non essendo possibile l’alternanza. Nella fase bipolare (1994-2013), seppur con sfumature, gli assetti partitici erano abbastanza chiari e, dunque, l’intervento presidenziale era poco incisivo. Il deterrente dello scioglimento anticipato funziona invece nell’attuale periodo di destrutturazione del sistema partitico che senza il potenziale della frusta presidenziale cadrebbe nel caos.
Prima che inizi formalmente il “semestre bianco” della presidenza Mattarella rimane uno spazio per l’ultima occasione utile a disarcionare il Governo in carica ed eventualmente confidare nello scioglimento anticipato del Parlamento in assenza di maggioranze in grado di sostenerne uno alternativo. L’approvazione della legge di Bilancio è l’ultimo vero scoglio, insieme ovviamente alle intense trattative per il Recovery Fund e la sua gestione. Rimpasti annessi. Se consideriamo i due mesi che debbono intercorrere tra lo scioglimento eventuale e gli aspetti tecnici, l’incipiente primavera potrebbe stimolare gli ultimi appetiti di elezioni. Ma vanno considerate, ovviamente, anche la pandemia, la dinamica europea, la presidenza del G20, etc. L’attuale Parlamento ha dunque poche settimane per decidere di auto-condannarsi alla fine anticipata. Nel caso, assai probabile, entro fino luglio non succedesse nulla, gli scenari politici sarebbero di due tipi. Nel primo, aumenterebbe la conflittualità all’interno della maggioranza, con il rischio di perdita di efficacia decisionale, con comportamenti al rialzo garantiti dall’impossibilità di chiudere la legislatura e quindi di pagare dazio elettorale. Anche l’opposizione sarebbe interessata a tenere alto il livello della tensione sicura di non rischiare, ma anzi preparando la campagna elettorale. La palude sarebbe lo sfondo, con crisi di governo, conflitto e stasi decisionale fino a febbraio 2023. La seconda prospettiva, opposta, potrebbe aprire le porte a una collaborazione più intensa nella maggioranza per capitalizzare l’azione di governo e condurre in porto le politiche avviate.
Il Presidente della Repubblica durante il “semestre bianco” non è in esercizio limitato o dimezzato delle sue prerogative, che sono varie, e significative, per nulla formali. Sergio Mattarella eletto il 31 gennaio ed entrato in carica il 3 febbraio del 2015, anche dopo il luglio 2021, garantirà il pieno esercizio della funzione presidenziale, affatto esautorata, tranne appunto per lo scioglimento. Spetta ai partiti politici, di maggioranza e opposizione, al Governo, e alle altre articolazioni dello Stato, condurre con “disciplina ed onore” il loro mandato fino in fondo, garantendo il fondamentale equilibrio dei poteri. Senza il tutore politico e istituzionale lo scenario di una perenne instabilità con deriva assemblearista è dietro l’angolo.
La competenza, la saggezza e l’equilibrio istituzionale del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sono una garanzia circa l’esercizio del suo mandato e certamente terminerà il mandato in linea con gli alti standard del settennato. Un monito per l’intero sistema partitico. È un viatico per il Paese.