La politica va spiegata con la politica. Per non parlare della montagna quando si è al mare, avrebbe detto Pier Paolo Pasolini.
L’azione del Governo Meloni nei confronti dei migranti trova cristallina spiegazione guardando alla catena di comando, e si innesta nella scia delle idee propalate per decenni dalla Lega nord, da Alleanza nazionale e anche da Forza Italia. La legge criminogena Bossi–Fini reca il nome di due capi delle principali forze della sedicente liberale coalizione dell’allora governo che usò lo scalpo securitario per rafforzare l’identità e saldare un legame tra due leader mai troppo d’accordo.
Vent’anni di criminalizzazione della “clandestinità” assunta quale reato e bandiera da campagna elettorale fa da pendant alla colpevolizzazione della povertà, della disoccupazione, alla teoria degli “occupabili”.
C’è un’Italia costernata, indignata, basita. Per la inumanità delle parole del Ministro dell’Interno. Ma non è proprio così; egli è tutto tranne che inumano, è umano nella banalità delle norme (non) applicate. Semplicemente, e terribilmente esprime una linea politica, seppur espressa come se stesse parlando in cucina. Per capire quelle dichiarazioni bisogna usare gli strumenti propri della politica e della sottesa e derivante cultura politica.
Al Viminale torni un politico
La conferenza stampa di Piantedosi è un compendio di progettualità politica, solo tangenzialmente costellato di divagazioni sul piano etico-morale. Non si tratta di rincorrere una “brava persona”, ma di spiegare la politica con la politica. Non con le lacrime, le emozioni o la rabbia. Il Ministro dell’Interno è figlio e padre delle politiche connesse alla sicurezza di questo Paese, alla gestione dell’immigrazione e della sicurezza, anche quella davanti alle scuole e alle università. Nessuna sorpresa, alcun incidente, nessuna parola fuori luogo: la destra è così da venticinque anni. Le parole sono pietre e vanno lette con lenti politiche, pena ridurre a circostanza sfortunata, a tragedia, a malanno, a “fatto improvviso e sfortunato” come ha detto davanti al Copasir con sfrontatezza da travet il Ministro del Viminale, quanto invece è frutto di una politica pianificata di esclusione.
Matteo Piantedosi, prefetto, carica di cui mena legittimamente vanto, è stato capo gabinetto anche dell’allora capo del Viminale, senatore Salvini, in una miscela ventriloqua in cui si fatica a capire chi parli e chi gesticoli. La politica ha abdicato al suo ruolo e ha appaltato a un burocrate la gestione degli affari interni che fu di Scelba, Taviani, Tambroni, Cossiga, Napolitano, per dire. È tutto qui il problema. Da un ministro dell’interno non mi aspetterei frasi sdolcinate, ma capacità di gestire adeguatamente le sfide interne, rispettando la Carta: è proprio questo il punto di debolezza di Piantedosi. La sua inadeguatezza patente nel gestire un dicastero pensando che si tratti di una prefettura, e non di un’agenzia dello Stato che deve governare con somma imparzialità, proprio perché il Viminale è l’istituzione più terza rappresentando essa stessa la Repubblica.
Il corto circuito è derivato dalla ritirata della politica che da decenni si vergogna della propria ombra e delega a prestanomi tecnici pur di provare a riguadagnare credibilità che ormai langue. Piantedosi è legato a doppio filo ai Decreti Salvini del governo Conte I, orditi sull’altare dalla realpolitik grillina.
Lotta politica non morale
Rincorrere Piantedosi sulla sua a-moralità è un gioco perdente perché ciascuno può avere una idea e una morale individuale, e finanche una opinione su come “gestire” gli immigrati. Il fulcro della questione è che in Calabria è mancata la politica, o meglio c’è stata una politica che ha chiaro in mente uno schema: i migranti sono un pericolo, l’Europa un peso, la solidarietà un crimine. Lo dicono, lo scrivono, lo urlano, lo praticano con coerenza gli esponenti della destra estrema in Italia da due decadi almeno.
Non è importante che Piantedosi abbia o dimostri di avere umana pietas; è cruciale che espliciti qual è la politica, il programma di governo dell’immigrazione, della sicurezza, di lotta alla criminalità, di contrasto al diffondersi di aggressioni di stampo squadrista. Il Ministro Piantedosi ha una sua linea politica che lo rende complice e lo assolve perché egli è al contempo mandante, ma anche esecutore del suo mentore leghista, delle pressioni di Palazzo Chigi e delle tensioni delle coalizione. Insomma, ha troppi padroni cui rendere conto; e in mezzo restano schiacciati i diritti dei più deboli, italiani o non che siano non rileva. E anche la professionalità dei lavoratori delle forze di polizia che pagano lo scotto. Il dibattito sugli errori, sulle debolezze umane, sulla morale di Tizio o Caio, rischia di esaurirsi in breve tempo, di inabissarsi nel pettegolezzo, di sfociare nel disappunto e nell’imprecazione. La politica deve tornare al centro raccontando che la proposta di Piantedosi alias Salvini/Meloni è contro gli interessi dell’Italia e dell’Europa. Non può immolarsi solo e sempre il Quirinale.
Sulla spiaggia di Steccato la distanza tra Viminale e Paese
La spiaggia su cui sono giunti privi di vita i corpi di settantasei tra bimbi e adulti si chiama “Steccato”, proprio come quello, politico, che esiste tra la percezione del Viminale e la realtà sociale del Paese. Sulle spiagge vicine a Crotone, pietà l’è morta. Vittima della (mala) politica. Ministro, usando le parole di un nobile figlio di Crotone, “rare tracce di tenerezza in un mondo che si nasconde nella propria incolumità”.