Il mio editoriale per Il Corriere della Sera
Libertà. Democrazia. Questa la diade di concetti che ispirò e guidò il voto degli italiani il 2 giugno del 1946. Il referendum istituzionale sancì un passaggio costituzionale cruciale, dalla monarchia alla repubblica. Gli elettori non si pronunciarono sull’assetto istituzionale, ma votarono in larga misura per respingere il recente passato autoritario e la monarchia con le sue indegne complicità, e correità con il fascismo. È però sintomatico che l’Italia repubblicana nacque per via referendaria, un istituto di democrazia diretta, ma anche carico di contraddizioni, emotività. Una scelta compiuta per evitare che la tensione polarizzante si trasferisse nei lavori della Costituente investendo i partiti. Il voto palesò profonde differenze territoriali, una decisa frattura tra nord (maggioritariamente repubblicano, tranne due province) e sud (prevalentemente monarchico, tranne due province. A Bologna finì 54% vs 46% per la Repubblica. Per la prima volta votarono anche le donne, anche se qualche giornale titolò “ci moriamo di fame e pensiamo al voto alle donne”. La politica fu più dignitosa e ambiziosa.
Contemporaneamente il voto servì ad eleggere l’Assemblea costituente che lavorò per un anno e mezzo al testo costituzionale prima dell’approvazione finale. La Carta Magna della Repubblica italiana entrò in vigore il 1 gennaio del 1948: per inciso insieme al nuovo anno nei comuni italiani si potrebbe concepire un appuntamento fisso per celebrare la Carta. Le urne “costituenti” consegnarono anche il primato alla Democrazia cristiana, seguita dai socialisti (Psiup) e dal Pci, con questi ultimi due che concorreranno uniti nel 1948 (Fronte popolare) per poi vedere i comunisti prevalere, unico caso in Europa occidentale, sui fratelli maggiori socialisti sino al 1992.
Il “2 giugno”, la repubblica democratica, non esisterebbe e non sarebbe nata senza il “25 aprile”, senza la lotta partigiana, senza la guerra civile, senza la Liberazione dal nazi-fascismo. Quella data è l’anticamera, ma soprattutto la condizione indispensabile per discutere poi di “come” effettivamente organizzare l’assetto istituzionale (si sarebbe potuto anche optare per una monarchia parlamentare, come in Spagna, ma solo una volta ritrovate “libertà e democrazia”). In realtà, l’apertura democratica era iniziata il 25 luglio del 1943, con la caduta del fascismo, e l’ordine del giorno “Grandi” (che era bolognese) che sancì la destituzione del Duce, e che si protrasse fino al 18 aprile del 1948, giorno delle prime elezioni politiche democratiche. L’estensione temporale del processo costituente favorì un esito negoziale di compromesso, accentuando il consenso anche su punti dirimenti (articoli 1 e 7 in particolare) e divisivi sebbene sul versante governativo i partiti del Comitato di liberazione nazionale si separarono con l’incombere della Guerra fredda che spinse De Gasperi a espungere i comunisti dall’esecutivo a seguito dell’accordo sul piano Marshall.
Il dibattito, nel c.d. comitato dei 75, e in Assemblea con lo scontro ideale tra i principali partiti e leader ha reso possibile l’approvazione di un testo moderno, lungimirante, innovativo e per diversi aspetti rivoluzionario. I principi fondamentale (primi 12 articoli) permangono somma garanzia, tutela e promozione dei diritti del cittadino, e delle persone sia quanto individui che in associazione.
Tra tutti gli articolo ho a cuore l’articolo 3, compendio di rispetto, riconoscimento e azioni per rimuovere gli ostacoli che vanifichino i principi di uguaglianza. Una Costituzione “bella”, certamente, ma non immodificabile, e da riformare, da aggiornare in talune parti, dal processo legislativo e rappresentativo al rapporto tra centro e periferia (Titolo V) ed evitando il rischio della torsione comunitarista.
Per molti aspetti oggi, ancora, direbbe Piero Calamandrei, la Costituzione “non è attuata”. Rimangono aree da tutelare, diritti da garantire, ostacoli da rimuovere, disuguaglianze da eliminare. Nuove e vecchie ingiustizie da combattere. Negli occhi dei migranti, nella dignità violata negata di troppi lavoratori, nel volto di bimbi cadaveri sulle spiagge dove peregrinava Enea, nei soprusi del potere, nelle raccomandazioni, nei traffici di rifiuti, nell’istruzione per pochi, nella negazione dell’accesso alla sanità pubblica … Ovunque ci sia una violazione dei diritti ci sarà la Costituzione. Ché i principi costituzionali, frutto di lotte, di sangue e di ideali, vivono sulle gambe, nella mente e nel cuore dei suoi cittadini. La Repubblica, tramite, la Costituzione, è un ideale da perseguire e – ancora Calamandrei – un “programma” da attuare. Buona Festa della Repubblica!