la recensione su “Doppiozero” del volume di Garry Kasparov
Il giocatore di scacchi per eccellenza, il campione del mondo per tre lustri. Il rimando mentale alle scuole sovietiche per bambini prodigio e le tetre atmosfere di periferie ostili. Oppure Ingmar Bergman e la partita con la morte. Bene, lasciamo da parte (per ora) queste facili suggestioni. Il testo di Garry Kasparov, non è un libro su Vladimir Putin. O meglio non parla soltanto della eccezionale (intesa come non deroga a varie “norme”) carriera e storia politica e di potere del presidente russo. Kasparov dimostra di essere un fine analista politico, un esperto di relazioni internazionali, un profondo conoscitore della storia russa ed europea, nonché un potenziale diplomatico.
Nonostante i toni usati per commentare le fantasmagoriche vicende di Putin e del suo clan siano per niente paludati, ma franchi, diretti e non proprio consoni al protocollo esigente e dettagliato delle sedi diplomatiche, il lettore che pensasse di scovare un (banale) compendio di editoriali, commenti e analisi politiche scritte da un (o forse il) giocatore di scacchi per eccellenza, temporaneamente votato all’impegno civico-politico, rimarrebbe abbastanza deluso. La saggia e coraggiosa scelta di un editore “minore” (in quel mondo di case editrici artigianali di solito si annidano titoli e autori più interessanti dei “best seller” da vetrina) consente di interpretare agilmente il Kasparov pensiero. Ciascun “capitolo”-intervento è un piccolo saggio, una spietata analisi dei rapporti di forza interni al sistema di potere di Putin, alla società russa e alla galassia delle sue tante “periferie”. L’attacco, o meglio lo scacco a Putin che Kasparov muove è infatti anche un attacco al sistema post-autoritario della Russia odierna che in qualche misura ri-calca quello dell’Impero o della dittatura sovietica. E il fatto che Kasparov sia nato in Azerbaigian non è un dettaglio biografico. Ma la fine analisi presentata nel volume non muove certo da rivendicazioni territoriali o spirito revanchista. Tutt’altro. Nelle pagine del celebre scacchista ritrovi Enrico Mattei, le sanguinose e spietate battaglie per il controllo del gas, la diplomazia, le imbarazzanti amicizie internazionali e gli endorsement di cui vergognarsi il giorno dopo. C’è la lotta per i diritti civili, la libertà di stampa, lo sdegno per l’assuefazione “occidentale” alla “prassi” democratica russa e la sordità delle Amministrazioni statunitensi.
Ovviamente, e senza sorpresa per chi non frequentasse solo i quotidiani ufficiali in lingua italiana, c’è anche un ritratto a tinte non proprio azzurre del nostro tycoon nazionale: Silvio Berlusconi è tratteggiato come quasi mai dai giornalisti italiani: Kasparov lo individua come attore politico internazionale attivo sullo (pardon) scacchiere del potere euro-asiatico. Un’operazione “verità” che la stampa italiana (a parte qualche eccezione…) non ha mai fatto fino in fondo in oltre venti anni, impegnata in difese d’ufficio, nel caso di pennivendoli delle testate di famiglia, ovvero in tardive e lagnose lamentazioni “progressiste”, senza mai affondare la lama nel cuore vivo della questione, ma anzi debordando in un crogiuolo di scandalismo e puritanesimo, di moralismo. Mentre Kasparov può liberamente scrivere che per «Silvio Berlusconi e Gerard Schröder, l’unica preoccupazione è stata, letteralmente, quella di fare più affari possibili con Putin». Punto. E racchiude tutto in due righe.
La battaglia di Kasparov , che lui derubrica modestamente ad azione culturale, è di diffondere il “gioco” degli scacchi nelle scuole. Una riforma non da poco, posto che gli scacchi allenano la mente a pensare liberamente. Evidentemente, scorrendo le pagine scritte da Kasparov, confesso di avere ceduto all’associazione con la sua figura di scacchista. E la suggestione è forte allorché noti la chirurgica capacità analitica, la schietta analisi delle “mosse” che, secondo Kasparov, l’avversario Putin sarebbe costretto a fare se solo gli Stati Uniti e anche l’Europa (troppo indulgente verso il regime russo) decidessero di mettere alle corde l’ex agente del KGB. Ma la suggestione lascia spazio alla realtà, quando si apprezzino le grandi conoscenze di storia, la decifrazione fluida delle vicende diplomatiche, le relazioni internazionali. E anche le informazioni a supporto di critiche avanzate verso la satrapia putiniana.
È il caso delle Olimpiadi invernali di Sochi, svoltesi in una «località balneare» con temperature non glaciali. Kasparov non riesce razionalmente a rassegnarsi, e noi con lui. E riporta, en passant, con classe, quanto odiosa sia la istrionica rappresentazione della torcia olimpica che periodicamente “illumina” le città selezionate dal comitato olimpico: non si tratta di retaggi ellenici o di ideazioni à la de Coubertin, ma di ostentazione coreografica e strategia comunicativa alla Goebbels. Ma l’A. aggiunge però una chiave di lettura “realista”, basata sui rapporti di forza, sul potere, sulla ricchezza e la bramosia della tribù di Putin che muove e si muove per famelica motivazione prosaica. E proprio l’attacco al gruppo di potere stabilito da Putin è il cuore del “Kasparov pensiero”. Che ricorda giustamente quanto il potere non sia mai assoluto e personale/individuale, ma sia l’insieme, l’aggregato di vari sottogruppi che alleandosi producono un’egemonia e il dominio.
La strategia che Kasparov suggerisce (con quanta ricezione non è dato sapere) alla comunità politica internazionale, e in particolare alla Casa Bianca, verte proprio sullo smantellamento della coalizione dominante che sostiene Putin. E la affascinante ricostruzione del Magnitsky Act – un provvedimento legislativo americano adottato nel 2002 che impone limitazioni bancarie e di viaggio per quei funzionari del governo russo che fanno muovere gli ingranaggi della macchina repressiva di Putin – rimanda solo tangenzialmente a un mondo di ex spie o agenti segreti riciclatisi nell’economia del calcio inglese o del mercato petrolifero. L’odiosa risposta russa è stato il blocco delle adozioni di bambini russi da parte di famiglie americane. Nonostante l’indecisione del governo americano nel perseverare con queste azioni di attacco al potere, Kasparov ritiene che questa sia la strada giusta da percorrere per indebolire e porre fine al dominio di Putin.
Le critiche alla presidenza di Barack Obama e al ministro degli Esteri John Kerry biasimano l’incertezza e l’incostanza nella azione di contrasto agli apparatčik, attraverso cui arrivare allo «scacco matto». Volendo rimanere in metafora, la lettura del testo di Kasparov può avvenire senza seguire una sequenza cronologia, posto che ciascun saggio (pubblicato sulle principali testate americane o sul sito “Kasparov”) ha una sua propria capacità esplicativa. E in ogni caso se lette successivamente le pagine proposte mostrano una finissima chiave logica, come se Kasparov procedesse a mosse susseguenti di cui ha chiaramente in testa la sequenza. E a volte pre-annunciano dinamiche intellegibili a chi conosca, come Kasparov, il mondo russo. In tal senso le pagine di Kasparov sulla Crimea e sulla Ucraina sono istruttive e lungimiranti. E rimandano, forse inconsapevolmente, e comunque in maniera involontaria, ma sempre utile, alla teoria politica sulla transizione democratica, ai processi connessi alla fine dei regimi autoritari o totalitari e in generale di quelli non democratici.
Un punto debole nel testo appare nel tratto deterministico che risiede nei saggi che l’A. presenta. Un insieme di ottimismo della volontà e della ragione, una consapevole auto-stima e, forse, anche un approccio logico-matematico derivante dalla sua (de)formazione professionale. Ci sono variabili intervenienti, endogene, che esulano dalle mosse pre-determinate e che rendono meno lineare il percorso verso l’attacco finale al re-Putin. Ma al netto di queste declinazioni in chiave civico-militante da attivista, esule per la democrazia, l’analisi di Kasparov resta valida e istruttiva.
Dal libro traspare un uomo colto, uomo coraggioso, ironico e affascinante. Abile scrittore e fine analista. Il suo testo, come il “gioco” degli scacchi, sarebbero un buon viatico se fossero maneggiati da giornalisti, studenti (non solo di scienze politiche!), diplomatici. E, ovviamente, da scacchisti incalliti, affascinati da sempre da quel pensare veloce, invidiosi in fondo di quella mente geniale, dalle mosse previste e dalle inattese tattiche, dalla strategia fino allo scacco matto. Buona lettura. E scusate il cliché.