Il mio editoriale per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera
Anche nella città sedicente “più progressista d’Italia” (perché non d’Europa?) proliferano le istanze rivendicative di diritti, prevalentemente individuali. Giustamente. Ma ormai siamo al profluvio, quasi catartico, di richieste che talvolta travalicano il confine del “legittimo interesse” per strabordare nella sfera della pretesa. Con il rischio di confliggere con altrui, altrettanto legittimi, interessi e diritti e perfino con l’interesse collettivo, al netto della parzialità sempre mutabile di quest’ultimo. L’egocentrismo, l’individualismo assunto a ideologia ha raggiunto tratti parossistici, non solo in Italia. Il punto è che le istanze, i reclami, i proclami, le richieste e le rivendicazioni sono soltanto una componente della sfera civile. Del resto, non è strano e nemmeno fortuito, se la Carta costituzionale, nella prima parte, subito dopo i principi fondamentali riservi alla sfera dei diritti e doveri dei cittadini quattro “sezioni” che regolano e normano i rapporti civili, sociali, economici e politici. La Costituzione limita, ad esempio, la mobilità “per motivi di sanità o di sicurezza”, e mai, si badi, per motivi politici. Intima ai genitori di istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Regolamenta lo sciopero, e prescrive che l’attività economica privata non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Anche l’esercizio del voto è rappresentato quale dovere civico, fino alla difesa della Patria quale sacro dovere del cittadino. Trattandosi di un consesso sociale, la Carta, molto progressista effettivamente, impone che tutti debbano concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Come avrebbe detto Jürgen Habermas il welfare state come una sorta di solidarietà coatta. L’apogeo della chiamata al dovere pubblico si ha in riferimento, ovviamente, alla fedeltà alla Repubblica nonché alla Costituzione e alle leggi. Ma, un richiamo davvero repubblicano, lo si ritrova in riferimento a quanti ricoprano funzioni pubbliche che hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore.
Tuttavia, a fronte di tali indicazioni, il dibattito politico, sociale e finanche quello intellettuale- sempre più conformista e pavido – è saldamente abbarbicato nella difesa aprioristica di qualsivoglia gemito identitario, per paura di apparire conservatore. E perciò risultando fuori fase. Trascura completamente la seconda componente di quella importante sezione, i doveri. Il rispetto delle regole, delle norme sociali- scritte e consuetudinarie- è relegato in secondo piano, è fuori dall’agenda. Non è mai entrato in partita nemmeno nella recente campagna elettorale, a tratti sciapa e monocorde. Sebbene una cospicua fetta del pensiero politico, filosofico, etico, e religioso, si innervino attorno all’intersezione tra diritti e doveri. Sull’asse del rispetto del bene pubblico, degli individui, senza che però questo sfoci nella prevaricazione di un diritto singuli.
La Sinistra, anche a Bologna, pare avere smarrito, o forse abrogato il coté dei doveri, troppo introversa verso i diritti civili e meno verso quelli sociali, che pure possono tranquillamente viaggiare in coppia. Una rimozione collettiva para-psicologica, forse retaggio inconsapevole e inconscio del senso di colpa per pregresse simpatie autoritarie. Una resa, incondizionata. Anzi, condizionata da debolezza di pensiero e da un riflesso pavloviano e infantile per cui ogni richiamo “all’ordine” è visto come un netto diniego, una usurpazione autoritaria, una violazione dei diritti individuali, appunto. Mancano, o sono in forte sofferenza, anche sotto le Due Torri (prendiamone atto), le agenzie deputate al controllo sul rispetto dei doveri, e che ne promuovano l’applicazione, l’enforcement. La scorsa campagna elettorale è stata autocentrata, sui candidati, sui partiti e poco sulla città. Se non, pour cause, sui diritti, sulle richieste di tal o talaltro gruppo di interesse. Il fronte dei doveri è rimasto sguarnito, e anche la destra, orfana dei populisti nazionali, non è riuscita a infilare un solo tema che richiamasse il rispetto delle regole. Nemmeno sulla sicurezza, argomento ormai diventato esso stesso indistintamente feticcio, simulacro, tabù e tratto indistinto per destra e sinistra. I partiti politici non citano mai i doveri dei cittadini, la ormai defunta educazione civica, e nemmeno il Comune e la Giunta pare siano interessati alla “costruzione” del cittadino. Di conseguenza ci muoviamo, brancoliamo, nel ricordo di una città civica e progressista, mentre emergono solitudini (a furia di diritti individuali…), comportamenti eterodossi, assenza di regole, e mancanza di visione. Chi educa quei cittadini che arrivano in città, da ogni latitudine, e che la ringiovaniscono e la arricchiscono? Non si vedono all’orizzonte truppe di vigili occhiuti e rigidamente repubblicani a redarguire i cittadini “maldestri”, scuole di partito o schiere di educatori sociali con il chiaro impegno di educare al rispetto dei doveri. Che poi è il rispetto dell’altro. La memoria collettiva si coltiva con “diritti e doveri”. La Scuola è stata depauperata, e le famiglie da sole puntano alle difese individuali. Ancora.
Questa dicotomia potrebbe richiamare alla mente quel Cesare Beccaria con “Delitti e delle pene”, una versione forse poco pedagogica, ma logica sulla centralità del duetto diritto-dovere, che se sbilanciato diventa un duello, facile appannaggio dello stato di natura ove prevale il più forte. E in politica, di solito è la destra a farlo, quella autoritaria. Ma possiamo rimanere su un più poetico e tristissimo “Pane e cioccolata”, laddove il magistrale Nino Manfredi passa delle vere pene per aver infranto varie regole e aver lordato le mura cittadine elvetiche. Di soli diritti una società non può vivere.
Sarebbe interessante, e intellettualmente lucroso, se in città si aprisse una feconda stagione dei diritti e dei doveri. Soprattutto.