Il mio editoriale per il Domani parte di una serie di approfondimenti dedicati ai Presidenti della Repubblica
Il 2 giugno celebra la nascita della Repubblica, ma è soprattutto per merito di Carlo Azeglio Ciampi se è diventata una data patrimonio collettivo. O meglio, è tornata ad esserlo dal 2001 allorché la legge “spinta” da Ciampi ha cancellato l’onta del 1977 quando la “festività” venne espunta dal calendario. Il Paese in cerca di strumenti per incrementare la produzione industriale, e in crisi economica, preferì rinunciare alla giornata fondante della propria identità sull’altare monetario semplicemente espungendola dall’almanacco civico. Come se gli USA abolissero il 4 luglio o la Francia il 14 luglio. L’Italia è ancora un Paese senza Stato, e con pochi cittadini anche per le appartenenze separate – democristiani/comunisti – acuite negli anni Settanta. Carenze cui il Presidente Ciampi provò a rimediare con una incessante azione di civismo repubblicano. Lui del resto era espressione del migliore repubblicanesimo, esponente di quel partito d’Azione sbeffeggiato da Massimo D’Alema con realismo togliattiano. Ciampi non era “estremista”, purista perciò contrario agli accordi e al dialogo, ma coltivava la devozione repubblicana, senza compromessi. Conoscitore delle dinamiche economiche e finanziarie, direttore generale della Banca d’Italia per tre lustri – come Luigi Einaudi, altro Presidente governatore della Banca -, era più incline verso il capitale sociale e civico che nei confronti del capitale e del capitalismo senza regole.
Un tecnico al Quirinale, si sarebbe detto. Ciampi era ovviamente però molto politico, e innervò la sua azione di una visione radicalmente repubblicana, civica, costituzionale. Un Presidente repubblicano à la francese, che coltivava la sovranità dello Stato, della laicità, della scienza e della conoscenza illuminista, delle virtù umane e del perseguimento del bene comune e collettivo. In pace con gli altri popoli, nel consesso europeo ed internazionale, ma avendo un’alta concezione della Patria.
Il 1992 è il fine corsa e l’epigono triste e malinconico di un sistema politico incapace di gestire il post Muro, e in parte corrotto nei costumi e nelle azioni. Ciampi, su indicazione e scelta autonoma di Scalfaro, assunse la carica e l’’incarico di Presidente del Consiglio dei ministri. Un uomo politico non espressione di alcun partito, di nessuna corrente, slegato dalle conventicole romane, per la prima volta a capo del governo. Un’onta, l’indicibile, e impensabile nella repubblica dei partiti, la partitocrazia osannata, odiata, reietta, abbandonata e oggi, forse, rimpianta. Non in grado di re-agire i partiti quasi defunti accettarono di buon grado che a guidare l’azione politica e di governo fosse qualcuno non proveniente dalle loro fila. Tra il 1993 e il 1994 Ciampi tentò di condurre il Paese fuori dalle secche, ma il combinato effetto dell’azione della magistratura che investì la classe politica e le conseguenze legislative della stagione referendaria, provocarono la fine del governo e della legislatura. Anche perché il Pds ritirò i propri ministri nel primo giorno dell’esecutivo. Scalfaro assunse piena responsabilità e per la prima volta nella storia repubblicana un capo dello Stato sciolse anticipatamente il parlamento con autonoma decisione. Di cui la classe parlamentare recalcitrante e terrorizzata del vuoto non poté che prendere atto nonostante qualche schiamazzo.
Presidente nel 1999, sei anni dopo l’esperienza a Chigi, un periodo in cui molto cambiò e si consolidò lo scenario che ne consentì l’elezione. Livornese, Normalista, giurista di formazione prima di attraccare alla componente bancaria da neo funzionario dello Stato. L’influenza europea innanzitutto, con vincoli e opportunità per il Paese, e per la politica, che solo in parte le coglie, dividendosi spesso su misure stringenti tanto quanto l’incapacità di risolvere i problemi segnalati e patenti. Ciampi si muove a suo agio, europeista convinto, ma non fanatico o acritico, si muove nel solco del pensiero federalista italiano che tanto ha contribuito a disegnare l’Europa.
Eletto con il 70%; mancarono alcuni “franchi tiratori” sebbene non in grado di coalizzarsi in proposte alternative come in passato o di sabotare l’elezione di Ciampi, che fu proclamato presidente al primo scrutinio, come in precedenza solo Cossiga.
Mediatore, dotato di grande caratura etica e levatura morale, spessore intellettuale e imparzialità, terzietà, che erano poi anche le motivazioni per cui fu eletto grazie all’ampia convergenza politica e partitica.
L’Italia non fece mancare momenti bui nemmeno durante il settennato di Ciampi, il quale dovette affrontare l’omicidio di Massimo D’Antona e il rigurgito della follia brigatista; l’onta, ancora non lavata, del G8 di Genova, dei depistaggi, delle coperture e delle torture: Ciampi chiese che fosse fatta “piena luce”, ma ancora si brancola nel buio della Repubblica dal 2001. Anno delle Torri Gemelle che segnarono una virata a destra della politica mondiale e anche un irrigidimento dell’allineamento pro USA sul piano internazionale del governo Berlusconi. Il Kosovo due anni prima era stato il banco di prova e di sangue elettorale della sinistra al governo e Ciampi fece tappa in Albania come prima visita internazionale. Per ricordare gli orrori della guerra fece il capolavoro di organizzare un incontro a Marzabotto con il presidente della Germania e sempre ricordò i valori della Resistenza per il riscatto civile dell’Italia dopo l’onta fascista. Sui Savoia complici del ventennio si disse favorevole al ritorno delle salme, ma fu irremovibile sulla destinazione (addirittura) al Pantheon, perché “non possiamo confondere meriti e responsabilità, eroi e traditori”.
Il Presidente Ciampi, unico caso “limite”, durante il semestre bianco procedette allo scioglimento anticipato delle Camere (come da nuova norma del 1991), seppure di soli due mesi, ma si trattò di mere ragioni tecniche ché la legislatura era ormai sostanzialmente esaurita. Nel 2001 si trattò, come in passato nel 1992, di uno scioglimento dettato dalla volontà di concludere anticipatamente la legislatura di qualche settimana, al solo fine di evitare che i comizi si tenessero in piena estate.
L’azione di persuasione, mediazione, negoziazione e diplomazia preventiva condotta instancabilmente da Ciampi è stata generata sia dal mutato contesto politico, del passaggio e del tramonto dei partiti fondatori della Repubblica, ma anche dalle caratteristiche proprie dell’uomo, del professionista, ossia dal suo profilo “politico”. Ciampi, non espressione diretta di alcun partito, aveva pertanto limiti nell’azione di intermediazione non essendo inserito in alcuna organizzazione politica, ma al contempo poteva, e doveva, usare un registro differente. Innovativo.
Il quinquennio di coabitazione con Berlusconi e il suo governo fu particolarmente teso, ma Ciampi mise in campo le sue doti di paziente tessitori e mai spezzò il filo del dialogo. Il Presidente Ciampi ha inviato un messaggio al parlamento sui temi del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione, ha rinviato sette leggi al parlamento, ma soprattutto ha accompagnato il processo legislativo indirizzandone bonariamente le modifiche evitando strappi con il governo/parlamento, e ha nominato quattro senatori a vita, tra cui Napolitano.
Oggi il tricolore (spesso sgualcito) sventola sulle facciate degli edifici pubblici, e lo dobbiamo a Ciampi. L’Italia è in una condizione simile al 1993 quando Ciampi era Presidente del Consiglio dei Ministri, ma diversa sul piano economico. All’epoca senza capacità di spesa, ma con elevata competenza, reputazione e credibilità internazionali. Dopo l’uscita dal Sistema monetario europeo nel 1992, l’Italia aderì al sistema monetario Euro proprio grazie agli auspici, al peso della competenza e credibilità, reputazione di Ciampi. Presidente che agì sempre con molta sobrietà dentro e fuori le Istituzioni, accompagnato dalla discreta presenza della Signora Franca.
L’azione di Walter Veltroni, segretario dei DS e vero artefice dell’”operazione Ciampi”, e la non belligeranza di Berlusconi, l’avversario per antonomasia, consentirono all’ex governatore della Banca d’Italia di superare il quorum dei due terzi già alla prima votazione, sebbene per circa trenta voti. Il capo del Governo D’Alema lo sostenne più per giungere a compromesso con il Cavaliere che per sintonia politica; puntava infatti a un esponente popolare, vista la sua concezione del centro-sinistra come sommatoria di Pds e Ppi. Ciampi è il primo, e sinora unico, Presidente non espressione diretta di partiti politici. Per militanza o appartenenza. Gianfranco Fini non si oppose, e rimasero soli antagonisti la Lega Nord e Rifondazione comunista. Pertanto i 707 voti, pur inferiori al potenziale elettorale delle forze coinvolte, rappresentano un riuscito esperimento politico di concordia nazionale e di accordo, posto che il centro-sinistra era diviso e comunque non in grado di eleggere autonomamente il capo dello Stato, e il centro-destra voleva evitare un presidente “militante”, quale considerava l’uscente Scalfaro. E anche una abilità di piegare la tradizione parlamentare devota ad eleggere uomini di partito e comunque mai esterni a quelli seduti tra gli scranni parlamentari. Scalfaro era stato l’ultimo capo di Stato ad essere eletto da partiti ri-nati con la Liberazione e la Repubblica; Ciampi è il Presidente che salì al Quirinale sostenuto da nuovi e/o profondamente mutati partiti, in un sistema politico bipolare e con una legge elettorale opposta nella logica a quella precedente. Quando venne eletto a seguire lo scrutinio insieme a lui nelle stanze del ministero del Tesoro c’era il direttore generale della Banca d’Italia, Mario Draghi.
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