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11 capitoli per 11 presidenti, con dati, tabelle e la prefazione di Eva Giovannini
Dal momento in cui il nuovo Presidente della Repubblica esce dalla sua abitazione romana per recarsi a Montecitorio, la campana grande posta proprio sopra l’ingresso dell’omonimo palazzo inizia a suonare per smettere quando il capo dello Stato varca la soglia della Camera dei deputati. L’elezione presidenziale rappresenta un grande rito repubblicano, un conclave laico il cui esito dipende da una alchimia al contempo imperscrutabile e cristallina. Ma non controllabile. Nessuna campagna elettorale, non si indicono comizi, non ci sono manifesti o siti web che sostengono candidati ufficiali. Nessuna candidatura, né formale né politica. Tutto si svolge nelle retrovie, e rimanere coperti, silenti, defilati è la migliore strategia per un aspirante presidenziabile. Il protocollo è rimasto immutato, come tanto in Italia, dal 1948. Da quando il primo Presidente eletto dal Parlamento, Luigi Einaudi, fu selezionato dopo la parentesi di Alcide De Gasperi ed Enrico De Nicola, capi provvisori dello Stato Il Parlamento in seduta comune si riunisce all’interno di Montecitorio – il cui Presidente ricopre anche la carica di Presidente dell’Assemblea – ove trovano uno scranno circa un migliaio di grandi elettori: ai deputati si uniscono i senatori (compresi quelli a vita) e i delegati regionali. Una volta designato il candidato eletto, questi giurerà fedeltà alla Costituzione davanti al Parlamento riunito in seduta comune, e solennemente addobbata con bandiere tricolore (ventuno) e drappi rossi bordati d’oro. Il Presidente della Camera invita il neoPresidente a giurare secondo l’art. 91 della Costituzione italiana, con la seguente formula: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione”.