Il mio editoriale per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera di oggi
Undici morti e quasi sessanta feriti. Il bilancio dell’assalto delle camicie nere fasciste decreta la strage di Palazzo d’Accursio, nel tentativo di bloccare l’insediamento della giunta socialista, visata come pericolo rosso dalla borghesia e dagli agrari. È il 1920, prodromo alla famigerata marcia falangista sulla capitale e Bologna è antesignana del nuovo corso politico. Lo sarà altre volte nella storia politica italiana fino alle recenti vicende. Il tentativo del giovane Anteo Zamboni di eliminare il Duce e il cruciale contributo alla Resistenza e alla Liberazione; le idee di Dossetti, la giunta Dozza e la sua “febbre del fare” che tanto contribuì alla rinascita del dopo guerra.
E ancora il celebre discorso di Togliatti su “Ceto medio ed Emilia Rossa”, pronunciato a Reggio-Emilia, ma che certamente ebbe eco, risonanza e ispirazione nella città felsinea. Quella frenesia di emancipare, di migliorare, liberare provando a coniugare l’utopia social-comunista con il realismo e il pragmatismo liberale. I sogni di una generazione che non aveva vissuto la guerra, ma che voleva ancora la Luna e che si mosse contestando e costruendo, in quel complicato Settantasette che Cossiga provò a sedare e che vide la morte di Lo Russo. L’atto di guerra di Ustica nel 1980, e pochi mesi dopo la infame strage fascista alla stazione di Bologna, quel 2 agosto indimenticato. Come Pertini che in piazza Maggiore tenne per mano Zangheri, Bologna e l’Italia.
Venne poi la fine del più grande partito comunista dell’Europa occidentale e chiuse i battenti nella popolosa e popolare Bolognina. La giunta comunale guidata da Vitali che fu propedeutica alla futura nascita del centro-sinistra grazie alla partecipazione di Pedrazzi, storico fondatore de Il Mulino. Lo spigoloso D’Alema giunse persino a Canossa salendo le scale di via Gerusalemme per invitare Romano Prodi a guidare il pullman dell’Ulivo nel 1996, esperienza tramortita nel 1998 da sabotatori interni ed esterni che indussero il Professore a pronunciare un “non ci sto” proprio all’Arena del Sole per rintuzzare le profferte negoziali della Lega Nord in cambio di un sostegno avvelenato da riforme secessioniste. L’anno dopo Bologna conquistò le prime pagine anche dei quotidiani internazionali perché la destra grazie a Guazzaloca per la prima volta salì le scale di Palazzo d’Accursio dopo la vittoria elettorale comunale, sebbene molti furono gli indegni bracci tesi di neofiti bruni. A Bologna nacque l’Asinello e nel 1999 Arturo Parisi prese il posto e il seggio che fu di Prodi, intanto trasmigrato a capo della Commissione europea. Il Presidente della Camera nella legislatura del trionfo di Berlusconi nel 2001 fu il bolognese Fini; mentre dodici mesi dopo la furia folle delle Brigate rosse insanguinò la città e destabilizzò il Paese colpendo Marco Biagi. Sempre da Bologna ripartì il centro-sinistra con la Fabbrica del programma che portò alla vittoria ancora Prodi nel 2006. La crescente delegittimazione della politica innaffiò il sentimento populista che sgorgò in una gremita piazza Maggiore nel 2007 lanciando nell’agone politico l’istrione nazionale. E l’illusione che il populismo di sinistra potesse risolvere i problemi del centro-sinistra declinante innamorandosi della fluidità concettuale delle Sardine in vista delle regionali del 2020. In mezzo i tormenti del popolo di sinistra per la candidatura di Casini nel fortino rosso sia nel 2018 che nel 2022 a conferma di una identità del PD ancora in fieri.
Eppure, Bologna “tiene” si continua a dire, ma ovviamente non basta. Da Bologna è passata parte della Storia d’Italia e una fetta significativa delle vicende della sinistra e del centro-sinistra. Sul piano elettorale l’ultimo baluardo indica cupo e mostra crepe seppure tre dei dodici collegi uninominali vinti dal centro-sinistra lo scorso 25 settembre siano proprio bolognesi.
I destini del centro-sinistra e del Partito democratico tornano a incrociarsi. La leadership futura dovrà probabilmente passare tra il Reno e l’Appennino, tra la sede della giunta regionale e Palazzo d’Accursio, ancora una volta. Bologna è un baluardo, una risorsa, che non può essere l’unica, per il futuro che verrà nel centro-sinistra frastornato dalle urne e da sé stesso. Gli amministratori e la classe dirigente emiliano-romagnola sono una risorsa, speriamo non vada smarrita. E che non si smarrisca.