Bocca di rosa non abita a Bologna

Il mio editoriale per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera

Meretrici, prostitute, donnacce. Le parole contano, pesano. Come pietre. Meglio sarebbe per chiarezza chiamare le donne che vendono il proprio sesso sulle strade della città e del nord-est, con il vero nome: schiave.  Ma come canta il poeta Guccini “di certe cose non si è mai parlato”. Perché in fondo Bologna oltre che la sedicente “più progressista” è anche molto ipocrita, provinciale, e spesso mette la testa sotto la sabbia. Altrimenti non si spiegherebbe il silenzio della politica, l’afonia del femminismo reattivo a ogni violazione delle desinenze sulla carta intestata e nei protocolli. La sostanza parla chiaro. Migliaia di giovani donne rapite, frutto della tratta sulla rotta balcanica e su quella africana, oggetto di violenze, ricatti e prigionia. Gettate in mezzo alla strada a soddisfare i pruriti borghesi dei maschi metropolitani e del proletariato in cerca d’evasione da sé stesso. 

La Dichiarazione ONU del 1993 sull’eliminazione della violenza contro la donna include deliberatamente la tratta e la prostituzione forzata tra le forme di violenza di genere. 

Per combattere un impianto di chiaro turbocapitalismo, il corpo come merce. A basso costo ed alto rendimento. Il passaporto sequestrato e le membra schiacciate dalla violenza di carcerieri barbari, per offrire un servizio a prezzi competitivi. Prêt-à-porter, come la pizza a domicilio. 

Lucciole. Che in realtà sono vittime. E l’inganno di una “bocca di rosa” che è esistita solo nella mente di un altro cantautore; le schiave sui Viali, di fronte alle caserme, alle scuole, agli uffici comunali e regionali, altro non sono che pezzi di carne svuotati della dignità.

Un tasto dolente, che rende molti malmostosi, un argomento trangugiato a fatica, dai questori, dai politici, dai partiti, dai giornalisti. Una cappa di silenzio rotta solo occasionalmente in caso qualcuna perda la vita o qualche cliente di rango finisca nella rete di amori impossibili. La reazione immediata a chi provasse a rompere il tabù della semantica ipocrita è una bella accusa di maschilismo, di liberticida, di moralista. Cui si aggiungono debolezze normative, carenza di fondi, e il volontariato quasi eroico di associazioni che assistono donne/bambine che non sanno con chi urlare la propria disperazione. Tema complicato nella soluzione, ma chiaro, per me, nella sua cifra identitaria. Il rispetto degli esseri umani; nella ultra-liberale Svezia la prostituzione è sanzionate, per dire. Mi sarebbe piaciuto – sono effettivamente molto esigente – che in campagna elettorale se ne fosse parlato, che se ne parlasse. C’è ancora tempo. Aiutiamo quelle schiave a rompere le catene. La Casa delle donne a Bologna fa molto e anche il Comune si sforza di fronteggiare. Ma bisogna cambiare passo, e soprattutto approccio al “problema”, in città e in Regione. Con politiche attive, a tutti i livelli, coinvolgendo tutte le istituzioni, con educazione, ma anche sanzioni. Scardinare la mafia delle organizzazioni che gestiscono la tratta degli esseri umani, con violenza, riciclaggio di danaro, dolore per le vittime. Altro che sex workers. Troppe strade invase, di giorno e di notte, di fronte a scuole, presidi dello Stato e delle Istituzioni. Nella finta ipocrisia di quasi tutti noi.