Per chi suona l’ocarina? Le elezioni comunali in Emilia-Romagna

Il mio editoriale per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera

Budrio dista circa venti chilometri da Bologna. Una piccola ed elegante cittadina che però richiama paradigmaticamente il percorso del populismo politico ed elettorale degli ultimi tre lustri in Italia

Per capirlo meglio è utile fare un salto temporale all’indietro. Era il 2012 e volava alto il richiamo del populismo, dell’antipolitica, che chiamerei qualunquismo. In Emilia-Romagna il Partito Democratico era, ed è, percepito e descritto come “sistema” perché tecnicamente al governo da vari decenni. Ne faceva però le spese anche acriticamente, anche immeritatamente. Capitò così che il giovane candidato, Giulio Pierini, vinse al ballottaggio solo di misura contro uno sfidante sconosciuto, ma certamente non “grillino”. L’anno dopo, grazie anche a un favorevole biennio di critica feroce al Governo Monti, il Movimento 5 stelle giunse primo in Italia e fece il pieno anche in Emilia-Romagna, dove aveva già fatto la sua comparsa alle regionali del 2010 e conquistato Parma. Un cambiamento annunciato più volte e che il V-day in Piazza Maggiore aveva plasticamente definito. Molti non capirono, non capiscono ancora. Chi sfidava la politica classica beneficiava, anche immeritatamente, spesso inconsapevolmente, di un abbrivio di sostegno mirante a scardinare – non si sa bene cosa – a catalizzare insoddisfazione e protesta. Anche a sinistra, anche nel PD, molti rimasero affascinati dalle sirene populiste, e chiunque vestisse i panni del candidato del PD ritrovava messaggi deliranti che descrivevano schiere di “burocrati comunisti” alla guida di Comuni grandi e piccoli. In una Terra dove in realtà i “mangiabimbi” sono stati sempre (forse troppo) pragmatici, poco ideologici e innovatori nel fare, spesso ottimo amministratori, attenti al “ceto medio”. Scampato il pericolo del 2012, e con la crescita esponenziale del M5s a livello nazionale, il naviglio del PD ha imbarcato acqua negli anni successivi, e anche in Emilia-Romagna ha patito perdite importanti. Dopo la cocente sconfitta del 2012 a Parma, dove Pizzarotti catalizzò il voto del centro-destra e di tutti gli “anti”, in una zona “bianca” della regione, toccò a Budrio. La tempesta perfetta si scatenò alle porte della capitale Felsinea: le divisioni e le indecisioni nel PD nazionale e locale, i segni del dopo referendum costituzionale del 2016, il contesto sfavorevole alla sinistra e, infine, la pessima prestazione del ministro dell’Interno nella gestione del “killer di Budrio”. Due mesi prima del voto la “Bassa” fu invasa da una scia di sangue che partì proprio da Budrio, dalla frazione Riccardina, dove un inerme e coraggioso barista fu ucciso, come in un pessimo remake cinematografico solo per aver difeso il proprio salario. Il ministro Minniti apparve troppo distante, poco empatico, assente, burocratico e contribuì a dare al tutto un aspetto gestionale e freddo, con decise conseguenze sul PD, e sull’amministrazione locale, al netto ovviamente delle dinamiche locali. Igor il “russo” scappò per settimane lasciando tracce di sangue, pista battuta dalle fameliche fauci del populismo e della propaganda securitaria. Prontamente la Lega Nord e il suo capo ne approfittarono per rafforzare l’assalto al voto politico dell’anno dopo. Cinismo, opportunismo, ma anche palesi inefficienze sistemiche che fecero della città dell’Ocarina, apprezzata anche in Asia, un teatro politico nazionale. Un candidato, Maurizio Mazzanti, sedicente civico, sostenuto legittimamente dal centro-destra vinse facendo la storia in un contesto ove mai la sinistra aveva perso dal dopo guerra. Una condizione simile a quanto avvenne a Bologna nel 1999 e poi sempre più spesso in molti altri comuni. 

La campagna elettorale per le comunali del 2022 rappresenta una tappa intermedia, preludio di quello che potrà essere lo scenario nazionale, con le coalizioni in cerca di strutturazione, come indicato nel report dell’Istituto Cattaneo. Il centro-destra sostanzialmente unito, e il centro-sinistra (ancora) in cerca di identità, con l’incognita del M5s e del segretario Giuseppe Conte, indeciso sul da farsi, tra corsa solitaria e alleanza organica con il PD. A Budrio lo scenario appare molto chiaro per il centro-sinistra, guidato da Debora Badiali, che sembra quel “campo largo” (più evocato che praticato e chiarito), simile all’Ulivo degli anni Novanta; il sindaco uscente è sostenuto da liste non partitiche e dalla destra che però si trincera dietro il civismo, e il Movimento 5 stelle rimane in posizione defilata, e la Lega prova a recuperare i fasti elettorali recenti. Un piccolo spaccato di quello che succede a livello nazionale

Oggi si vota in 21 comuni della Regione, il 6% del totale, con il ballottaggio previsto per il 26 giugno, per i comuni (quattro: Riccione, Parma, Piacenza, oltre a Budrio) con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Tante storie, realtà locali e ambizioni nazionali, specificità di quel “gran pezzo” dell’Emilia-Romagna. Pochi comuni rispetto ai quasi mille al voto nel Paese, ma se si guarda Budrio si intravede un po’ l’Italia di questo decennio.