Il ruolo chiave che hanno i partiti

Il mio editoriale di oggi per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera

La democrazia è fatta di partiti politici. Senza, semplicemente la democrazia non esisterebbe. Poiché rimanderebbe ad una società monista, e pertanto autoritaria. Le organizzazioni politiche garantiscono pluralità, differenziazione di interessi e partecipazione politica. Non è un caso se la Costituzione italiana serba loro un ruolo chiave quali associazioni che garantiscono ai cittadini di organizzarsi liberamente per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49).

Le derive autoritarie, e persino totalitarie, si innescano infatti su un tessuto sociale di scarna partecipazione politica, di pochi partiti, deboli, non strutturati e all’interno dei quali il dibattito è privo di senso e di consenso, è cioè dirottato da pochi. La presenza di una molteplicità di partiti è il cuore stesso del pluralismo democratico purché tali organizzazioni non esauriscano la loro funzione nel momento elettorale, ma anzi diffondano pratiche inclusive, stimolino il confronto e se necessario il conflitto, ovviamente con mezzi pacifici. 

I partiti fanno paura alle dittature, che li temono perché diffondono anticorpi democratici. Le prime azioni dei satrapi di vario lignaggio sono proprio rivolte a ridurre la partecipazione democratica, rendere illegale la politica, a bandire i partiti e a tenerne qualcuno preventivamente addomesticato quale simulacro di libertà per false legittimazioni esterne. Il partito nazionale fascista era l’unico ammesso con Regio decreto del 1926 che prevedeva lo scioglimento di tutti gli altri, all’interno delle cosiddette leggi “fascistissime” che miravano a dare una svolta totalitaria al regime mussoliniano. 

L’Italia ha vissuto una stagione di grandi partiti di massa, con solide ideologie, riferimenti e ancoraggi sociali. I partiti “chiesa”, quelli che si prendevano cura dei loro aderenti “dalla culla alla tomba”, non esistono più da circa trent’anni. Per varie, concomitanti, ragioni, nazionali e internazionali, i partiti politici sono stati investiti da cambiamenti profondi, come inevitabile essendo essi stessi parte della società mutata in tutti i settori. Dall’economia, ai rapporti sociali, dalla comunicazione, alla cultura. La sfiducia nei loro confronti è cresciuta enormemente, al pari di quella nelle istituzioni. Il che non è un bene, è un pessimo segnale che lampeggia ininterrottamente da tre decadi almeno e che molti eventi esiziali ha generato, dal populismo, all’estrema destra, alla perdita di senso e all’individualismo. Disistima, disapprovazione, scetticismo e diffidenza spesso fondati, ma in molti casi anche ingenerosi. Esistono, infatti, ancora migliaia di attivisti, militanti genuinamente motivati, che svolgono lavoro gratuito per le rispettive organizzazioni, in ambito elettorale, sociale e politico. Sebbene forse non proprio alla moda, iscriversi a un partito è una scelta veramente necessaria in questa fase storica. Proprio perché meno legittimi, aderire a un partito è una mossa dirompente, controcorrente e necessaria a invertire la rotta.

Da questo punto di vista la recente campagna promossa dal Partito democratico di Bologna appare quanto mai opportuna. Gli iscritti, e tra essi gli attivisti/militanti, assolvono a un compito determinante, anche se molto diverso rispetto al passato. Le innovazioni tecnologiche e il ridotto bagaglio ideologico ne hanno ridimensionato la funzione, ma gli iscritti al partito hanno ancora un valore rilevante in almeno tre sfere. La presenza di numerosi aderenti tende ad accrescere la legittimità e la legittimazione delle classi dirigenti, ovviamente se nel contesto di una democrazia competitiva. Inoltre, il sostegno durante la campagna elettorale è fondamentale per aumentare la gittata del messaggio del partito, ridurre i costi e aumentare le interazioni con potenziali simpatizzanti. Infine, ma non ultimo, il tesseramento consente di far fronte, sebbene in misura limitata, a carenze di finanziamento pubblico/privato, come sta sperimentando in queste settimane lo stesso PD felsineo. 

La rete di iscritti, militanti, sedi fisiche in cui discutere e confrontarsi, seppur da non mitizzare, rimane cruciale per fornire al processo democratico un viatico contro derive illiberali. I partiti sono nati proprio da e per rappresentare fratture, tensioni, conflitti, e per rappresentarli nelle istituzioni provando a dar voce ai meno forti. Sono, o almeno dovrebbero, essere un trait d’union tra rappresentanti e rappresentati, il laboratorio per includere le idee degli intellettuali, il lavoro dei sindaci, la passione e l’intelligenza di studenti e lavoratori. L’etimo del partito politico rimanda alla divisione, rispetto all’unicità e all’omologazione non democratica. Aderire a un partito significa parteggiare, ma vuol anche dire “prendere parte”, partecipazione e contribuire alla politica della propria comunità. Dunque, più che alla consunta dicotomia tra partito leggero e partito pesante, è importante resuscitare il partito pensante. Prendete parte